Roma- Alexanderplatz Jazz Club 3 dicembre 2018
E’ cambiata la prospettiva stasera. Quando ti siedi di fronte a loro, guardando l’ingresso, attraverso il vetro, scorgi già scarabocchi sui muri e luce diversa. Non si capisce bene se hanno già cominciato a suonare o se sgranchiscono gli strumenti e basta… Allora lo sguardo scruta le persone presenti, “quelli sono attori”, “hai visto il ragazzo con il codino e i colori?”, un bicchiere di Etna rosso fa il resto.
Frastuono.
L’inizio, un frastuono infernale, tuono che erompe, stasera suono psichedelico, perdizione, trasgressione, tradizione del “buon ritmo”, rallenta, cessa, si risolleva, aumenta, si definisce nel tintinnio, poi solenne come a una cerimonia dei soldati, dolcemente scema curvando, s’impenna e scema di nuovo, fino all’acuto che istiga la batteria, ed una fine lenta e inesorabile che prelude al cambio di passo per tintinnare di nuovo verso il tramonto.
Statua.
Di fronte ai musici, una statua di carne, a fronte adornata, immobile e movente, si inchina regale, accarezza la scacchiera sinuosa e silenziosa, il pittore indugia e scolpisce immerso e guidato dal suono, luce verde, tra il soffuso, un cavalluccio marino, a destra in estensione.
Sacerdotessa.
La sacerdotessa ora guida lei, evoca i suoni acuti, c’è un dialogo di note in gioco, silenzioso e matematico, come a dirimere frasi e assoli e l’incalzare ha di nuovo inizio. La sordina alla tromba morbida accompagna. La sacerdotessa muove le sue colonne, la sinistra ora è la struttura della serata, ossa e derivati per accompagnare la libertà.
Brio, la parola ora è brio, che affiora ascoltando l’aria che diventa frizzante.
E’ il regno delle tastiere, nel suono ritmato e ossessivamente ripetuto, lo stesso medesimo, fin quando non trovano insieme un guizzo per arricchire, svirgolare e allora via in cambiamento continuo.
Schiena.
Ora la musica volge alla costruzione della scultura viva, dopo le fondamenta, e nascono dalle mani sonore ghirigori colorati sull’alta schiena, forse a intravedersi un ragno sacro, o il sole, chissà…Improvvisazione pura anche nel dipinto suggestivo del fuoco che erompe sopra l’addome e si alza in raggi verdi, il metallo accompagna e regna insieme.
Applausi.
Finisce così, Rasputin, poggiato in fondo, silenzioso e possente nella presenza, va a ritmo con se stesso, ammicca al plettro che non c’è, si accorda e la distanza è annullata balzando e saltellando. Sound in the darkness.
Lettere.
Ora è il turno delle firme. Vivono, si muovono. Come è possibile? Risuonano i muri e le lettere, che hanno memoria del ritmo che ha loro regalato Bruce, ballano insieme. Le B si gonfiano, come nei cartoni animati, le G esplodono, le M salgono e scendono, le A eruttano, le T in diagonale corrono, le S si liberano, e così via.
Jazz.
Mi chiedono al tavolo dove sono seduta “Ma tu ti intendi di jazz?” … Lenta la mia risposta “No, credo solo di saper descrivere i fenomeni…” mi sento rispondere.
Il jazz ti connette con te stesso e con gli altri, è un segnale potente che ti inchioda al qui ed ora, ti tiene e ti contiene fluidamente, il jazz è eraclitiano, è panta rei
Tutto scorre, tutto fa scorrere. “Mamma come faccio a capire in quale direzione prendere l’autobus per andare al Virgilio?” “Segui il fiume controcorrente” “Ma questa è un’indicazione Sioux!”. Il Virgilio, una destinazione centripeta, Dante, Battiato che cerca un centro di gravità permanente e i Sioux: neofiti del Jazz.
Al 10 dicembre
Stefania Ratini